Toccò a me, un anno fa, posare il velo sul tuo volto,
prima della tumulazione ed al termine di un interminabile cammino di dolore,
culminato a pochi giorni dalla nascita di quel Bambino che è venuto al mondo
per cambiare il destino dell’uomo, di ogni uomo.
Toccò a me posare le mie labbra sulla tua fronte ormai fredda, prima di
privarti alla vista di quanti amasti e ti amarono senza posa, senza alcuno
sconto.
Toccò a me, ultimo di cinque tuoi figli, porgere a
nome loro, attraverso la semplicità di questi gesti, l’estremo saluto o
semplicemente l’arrivederci…
Il ricordo di quei giorni è sempre vivo in tutti noi.
Il tuo viso scarno, sofferente. Il tuo corpo proteso alla ricerca di
quell’altrove, in cui avresti finalmente potuto donare riposo alle tue membra.
La tua, la nostra preghiera perché tutto si compisse.
Perché la sofferenza cedesse presto il passo alla
Vita. Quella Eterna!
Da mezzogiorno alle tre, le ore più difficili. Per la
nostra fede, per i nostri pensieri, per i nostri sentimenti.
Non eravamo noi ad accompagnare te; fosti tu ad accompagnarci, a prenderci
ancora una volta per mano, sulle spalle. Eravamo abituati. Altre volte, lungo
gli impervi tormenti del calvario della vita, avevamo potuto contare su di te,
sul tuo silenzioso esserci, sulla tua “paternità”.
Ma non avremmo mai immaginato di dover assistere, impotenti, al disfacimento di
un corpo – il tuo – più simile ad una fortezza che ad un insieme di cellule,
carne ed ossa. Non eravamo preparati a vederti, consumarti nell’agonia,
piangere di nascosto, forse, e pur tuttavia continuare ad infondere quella
fiducia e quella forza di cui in quel momento noi tutti avevamo bisogno per
tenere alta la testa e ritto il corpo dinanzi al rumore dei passi – quelli
della morte – che si avvicinavano a te per chiamarti e condurti a miglior vita.
Pur nel dolore più estremo ti manifestasti più padre, più fratello, più
grande.
Poi, all’alba di un tristissimo giorno di un anno fa,
il tuo volto provato, sofferente, solcato dalle fatiche, come d’incanto, si
ricompose. Il corpo sembrava aver ripreso il suo tradizionale portamento
superbo; quello che ti rendeva visibile e forte, pur nella tua immensa
fragilità e tenerezza di uomo.
E, sul letto di morte, ci apparisti integro nella tua proverbiale e
naturale eleganza.
Seguì un bagno di folla. Qualcosa di trascendente, di
sovrumano si stava per compiere. La dimensione escatologica cancellò la morte.
Da quel giorno ti sogno spesso.
Mi manchi, mi manca il tuo sorriso, la tua voce, il
tuo respiro affannato, il tuo sguardo silente, la tua forza di volontà; il tuo
dirci “sto bene”, le nostre litigate e le mutue riappacificazioni….
Guardami più spesso da lassù. Guidami quando lo smarrimento interiore
pervade i miei pensieri e le mie azioni. Rendimi la gioia ed il dono del
discernimento. Non chiedo ricchezza, per me, ma solo discernimento, come
Salomone, capace di scrutinio, saggio nel distinguere il bene dal male.
Sono certo che tu godi da sempre della beatifica
visione divina. Intercedi per me e per quanti ti hanno conosciuto come uomo ed
amico, Angelo della vita quale tu sei, ora nell’assise celeste.
Grazie per essere ancora oggi, come nel passato, “ala di riserva”: il tuo
ricordo, la tua testimonianza generino, nei cuori di quanti ti hanno
conosciuto, la passione, accendano lo stupore, alimentino la speranza, donino
la consolazione.
A noi altro non resta che sperare di poterti ancora stare accanto, un
giorno, come sulla terra così in cielo