Caro Luca,
scrivo a te,
in un pomeriggio piovoso che mi costringe lontano da casa e dai luoghi comuni.
Quando leggerai questa mia,
ne sarà già passata di acqua sotto i ponti da quel martedì di settembre in cui,
ad un tratto, la vita di migliaia di uomini e donne, è stata bruscamente
interrotta da un gesto insano e sconsiderato.
Tu sei nato qualche mese prima di quell’11 settembre dell’anno 2001: un
giorno triste per l’umanità. Sono certo, però, che anche tu, nel tuo piccolo,
avrai udita l’eco lontana di una tragedia immane che ci ha tenuti col fiato
sospeso e che, a tutt’oggi, prelude a giornate ancora più tristi.
Qualcuno, prima o poi, ti racconterà delle torri di Manhattan. Vedrai
le immagini, qualcosa che, per te, apparterrà al passato come, per noi ,tanti
degli avvenimenti del secolo scorso: il Novecento.
Tu non hai visto i campi di sterminio, né Pearl Harbor, né la bomba di
Hiroshima, né l’inferno delle battaglie d’ogni parte del mondo, né la fame che
avvolge altri bambini, adulti e vecchi.
Tu non hai visto il crollo delle Twin Towers. Però vedrai le immagini,
sentirai dire dell’impressione, del dolore, delle reazioni…
Per te sarà il passato, come le trincee, il volo dei fratelli Wright,
come il sogno dei Kennedy.
Oggi non
sappiamo e non possiamo prevedere come sarà il tuo futuro, come vivrai e come
vivranno altri bambini di ogni parte del mondo. Riusciremo ad accorgerci di te,
dei tuoi silenzi, rispettando la tua crescita senza gravarla di sensi di colpa
e di affanni? Riusciremo a stringerti senza che il tuo contatto sia richiesta
spasmodica o ricatto d’affetto?
Chissà, cosa
riserva per te il futuro.
Io, per parte
mia, ti auguro una vita non colma di doni –segnali a volte sfacciati delle
nostre assenze- ma di attenzioni. Ti auguro di incontrare, sulla strada della
vita, adulti capaci di autorevolezza, fermi e coerenti: qualità dei più saggi.
Si, la coerenza mi
piacerebbe per te. E la consapevolezza che nel mondo in cui sei venuto,
esistono, oltre alle regole, le relazioni e che le une non sono meno necessarie
delle altre, ma facce di una stessa luna presente.
Mi piacerebbe che qualcuno
ti insegnasse ad inseguire le emozioni come gli aquiloni fanno con le brezze
più impreviste e spudorate; tutte, anche quelle che sanno di dolore.
Mi piacerebbe dirti che la
vita comprende la morte. Perché il dolore non è solo vuota perdita, ma
affettività, acquisizione oltre che sottrazione. La morte è un testimone che i
migliori di noi lasciano ad altri, nella convinzione che se ne possano giovare:
così nasce il ricordo, la memoria più bella che è storia della nostra stessa
identità.
Mi piacerebbe,
poi, che qualcuno ti insegnasse a stare da solo: ti salverebbe la vita. Non
dovrai rincorrere la mediocrità per riempire vuoti, né pietire uno sguardo o
un’ora d’amore. Per imparare a creare la vita dentro la tua vita, e a riempirla
di fantasia.
Spero che tu
possa, un giorno, adorare la tua inquietudine finché avrai forze e sorrisi,
cercando di usarla per contaminare gli altri, soprattutto i più pavidi e vulnerabili,
donando loro il tuo vento intrepido, ascoltando il loro silenzio con curiosità,
rispettando anche la loro paura eccessiva.
A te mi
piacerebbe augurare che la persona che più amerai possa amare il tuo congedo
come un marinaio che vede la sua vecchia barca allontanarsi e galleggiare
sapiente lungo la linea dell’orizzonte.
Per te mi
piacerebbe poter sognare, senza troppe illusioni, che il futuro sarà un’altra
cosa, un altro mondo, una terra fatta di pace e di tolleranza, lontana dai
fanatismi e dalle follie.
Ti abbraccio
Scrissi questa lettera, il giorno dopo l'attentato a Manhattan.
RispondiEliminaLuca era un bambino che io avevo fra le mie braccia, quando il mondo intero assisteva impotente alla strage del 11 settembre 2001