Le parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perchè le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti.
Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E, per far questo, dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle.
Si chiama "manomissione" questa operazione di rottura e ricostruzione.
Il termine "manomissione" ha due significati, in apparenza molto differenti. Nel primo significato, essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione. La manomissione delle parole include entrambi questi significati.
Noi "facciamo a pezzi" le parole (le manomettiamo nel senso di alterarle, violarle) e poi le rimontiamo (le manomettiamo nel senso di liberarle dai vincoli delle convenzioni verbali e dei non-significati).
Solo dopo la manomissione possiamo usare le nostre parole per raccontare storie.
Mi ha sempre affascinato l'idea che le parole nascondano in sé un potere diverso e superiore rispetto a quello di comunicare, trasmettere messaggi, raccontare storie.
L'idea, cioè, che abbiano il potere di produrre trasformazione, che possano essere, letteralmente, lo strumento per cambiare il mondo.
Spesso, tuttavia, le nostre parole hanno perso significato perchè le abbiamo consumate con usi impropri, eccessivi o anche, solo, inconsapevoli.
Diceva il poeta greco Ghiannis Ritsos, "le parole sono come vecchie prostitute che tutti usano spesso male: e al poeta tocca restituire loro la verginità".
E' necessario un lavoro da artigiani per restituire verginità, senso, dignità e vita alle parole. E' necessario smontarle e controllare cosa non funziona, cosa si è rotto, cosa ha trasformato meccanismi delicati e vitali in materiali inerti.
E dopo bisogna montarle di nuovo, per ripensarle finalmente liberi dalle convenzioni verbali e dai non-significati.
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