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martedì 3 aprile 2012

Il tempo del dolore (una proposta di riflessione)

Non sfugge a nessuno che stiamo vivendo giorni quali ci sembrava di non dover vivere mai. Perfino ad attardarsi sulla rievocazione delle violenze si ha l’impressione di essere stancamente ripetitivi.
La situazione internazionale, gli eccidi, gli spettacoli della fame ci sfilano davanti agli occhi come grondaie inconsumabili, e si ha la tentazione di pensare a situazioni senza sbocco.
La nostra coscienza morale esce schiacciata da questa temperie di dolore. È il tempo del torchio. Il nostro animo si gonfia di turbamento. Siamo presi dallo sconforto….
Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche schiodare tutti coloro che vi sono appesi, noi oggi siamo chiamati a un compito dalla portata storica senza precedenti: «Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimanda re liberi gli oppressi» (Is 58,6).
Pertanto, non solo dob­biamo lasciare il «belvedere» delle nostre contemplazioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale, ma dobbiamo anche individuare, con coraggio e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.

La Croce…
Eppure, Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l’ha voluto. La sua accettazione non è rassegnazione passiva, ma è accoglienza della croce, è accettazione della volontà del Padre. È una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vita.
La nostra vita cristiana, purtroppo, tante volte non incrocia il cammino del Calvario. Non s’inerpica sui tornanti del Golgota. Come i Corinzi, anche noi, la croce, l’abbiamo «inquadrata» nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola.
L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo in chini in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica.
La croce l’abbiamo isolata: è un albero nobile che cresce su zolle recintate, nel centro storico delle no tre memorie religiose, all’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti, ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del "condannato"!

Non è l’ultima parola…
C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di Cristo: «Da mezzogiorno al le tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra». Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia.
Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.
Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che compri mono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo.

"Collocazione provvisoria". Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce!
La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora: la tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”.
Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residen iale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio.

Coraggio, comunque! Noi credenti, nonostante tutto, possiamo contare sulla Pasqua. E sulla Domenica, che è l’edizione settimanale della Pasqua. Essa è il giorno dei macigni che rotolano via dall’imboccatura dei sepolcri. E’ l’intreccio di annunci di liberazione, portati da donne ansimanti dopo lunghe corse sull’erba. E’ l’incontro di compagni trafelati sulla strada polverosa.
E’ il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più e che invece corre di bocca in bocca ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. E’ la gioia delle apparizioni del Risorto che scatena abbracci nel cenacolo. E’ la festa degli ex delusi della vita, nel cui cuore all’improvviso dilaga la speranza.

Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del «terzo giorno».
Da lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo. 

+ Tonino Bello, Vescovo

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