Ho fra le mani un romanzo che racconta l'insofferenza di un adolescente alle prese con il suo profilo virtuale.
Insofferenza non tanto diversa da quella che investe gli adulti; solo che nei ragazzi cova più rapidamente ed in maniera più plateale.
A differenza di noi adulti, forse, i ragazzi manifestano apertamente ogni sensazione, positiva o negativa che sia.
E' l'unico modo o, semplicemente, quello più efficace che hanno, per farsi notare prima.
Per non parlare poi della difficoltà di dialogare con la propria famiglia, quella reale, non quella che si accende con un tasto del computer.
Non esistono più le confidenze vere e proprie, non si vedono più le guance arrossire per una forte emozione. Non esistono più neanche i nomi, quelli veri.
Ora è tutto una password, un nick-name, un avatar; tutto ha bisogno di un codice di accesso e tutti sembriamo bellissimi nelle foto manipolate che inviamo al resto della comunità in linea, per farci conoscere o, in fondo, solo ammirare.
Facile, così, covare emozioni e coltivare giardini interni, secret gardens, sempre che ci siano.
Capita, così, che io possa avere, per anni, una relazione con un'altra persona senza mai vederla, finchè non si decide un "luogo" in cui incontrarsi con la premessa e la promessa che "...se non ci piacciamo, amen! Finisce tutto qui ed amici come prima!".
Facile, no? E' come prendere un cioccolatino e sputarlo quando scopriamo che dentro c'è il liquore e noi siamo maledettamente astemi.
Magari con quella persona ho scambiato le confidenze più accese ed ho sperato nell'esito più felice, comodamente da casa mia, però (sic!), con la barba incolta, i capelli arruffati, avvolto in un pigiama di flanella infeltrito. Per tutto il giorno !!!
Ecco, come fosse un arresto cardiaco, il mio pensiero si impalla... Rifletto su questo nuovo modo di intessere relazioni, di socializzare, di esprimere e trasmettere le nostre emozioni...
Penso pure, però, che la maggior parte delle persone è sempre meno in grado di parlare di nulla, se non parla di sé o comunque della cerchia di cui è il centro.
Penso (e non è ridondante questo mio dire "penso") che questa atarassia rispetto al mondo reale è un'esperienza che mi tocca personalmente allorquando, insieme ad un gruppo di amici, registriamo una certa "incapacità" ad incontrarsi intorno ad un tavolo, in compagnia di un buon libro, riuscendo così a schiodarci da quel nostro posto in prima fila davanti ad un LCD.
E' pigrizia o solo necessità di restare nascosti all'ombra di un Personal Computer per alimentare quella santa e benedetta "autoreferenzialità"?
Troppi, infatti, mettono al centro del loro "dire", "fare", "calcolare", solo se stessi, quell'IO coccolato, massaggiato, incensato, lasciando ai margini "gli altri" che si concepiscono solo in funzione di sé stessi.
Non si tratta semplicisticamente di "egoismo" o, peggio ancora "egocentrismo"; il mio timore è che stia sempre più imperversando una certa povertà di parole, di idee, di interessi.
"L'IO, IO...! Il più lurido di tutti i pronomi", scriveva Emilio Gadda.
Senza scomodare i sapienti, però, proverei a sollecitare una riflessione più attenta sul fenomeno dei Social Network e suoi derivati; proverei ad interrogarmi ed interrogare sul perchè sono sempre meno frequenti gli incontri e le strette di mano, lì dove i nostri occhi incrociano altri occhi ed occhi "altri", lì dove i nostri sorrisi si fanno "persona" e non soltanto semplici smile...
Proverei ad abbattere il muro dell'individualismo, ad ascoltare e guardare la varietà dell'umanità che ci circonda.
Mi permetto di parafrasare il card. Ravasi ... : sarà una ventata d'aria, forse anche turbinosa e rumorosa, ma capace di spazzare via l'atmosfera asfittica del nostro isolamento saccente ed orgoglioso o, più semplicemente, monocorde e noioso
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