Caro papà,
dopo questo tempo passato nel silenzio, sento ancora la forza che mi spinge a scriverti, come un bisogno mai saziato.
Dubito che ti capiterà di girare un intero universo, per finire a leggere queste umili parole. Chissà se penserai che potrebbero essere parole uscite dal sentimento di un figlio qualsiasi o proprio dal tuo.
Non so se è vero che certe cose accadono per una ragione, se questo destino è davvero già scritto o siamo noi a scegliere… non so se… tutti questi “se” come mille dubbi che invadono la mente e annebbiano il cuore… quanti “se” sono nati nelle notti insonni, nelle ore di solitudine e perfino nei sogni, gli stessi che avrebbero dovuto sorreggere l’edificio del mio futuro.
Quando ho visto che le fondamenta non erano abbastanza solide, ho deciso di vivere in una capanna, giorno per giorno. L’ho decorata con i fiori più profumati e più colorati, frutti della mia semplice vita su questa terra, ho scritto sulle sue pareti le parole di quei poeti che porto incise nell’anima e sulla porta ho appeso un sorriso di cartone, che, dovresti vedere, quanta felicità trasmette quando i raggi del sole si infrangono e poi riflettono, fino a disperdersi negli angoli bui dell’universo…
Passa il tempo e lui racconta una storia mentre io vivo la mia, lui scorre in silenzio ed io gli lascio le mie domande per farle trasportare lontano, verso quei “perché” che aspettano una spiegazione, di quelli che aspettano anche, pazientemente, per ore, con il numerino stretto nella mano, di fronte allo sportello d’attesa…
Ma chissà com’è che, quando è il loro turno, arriva sempre l’ora di chiusura… Ma loro sono proprio come me, testardi, e ad ogni nuova alba sono lì, pronti per un nuovo aspettare, sperando sempre che sia l’ultimo,
Penso che ci siano stati dei giorni pieni di colpe senza padrone, di fatti che accadono e non serve buttarsi sotto la macchina del destino nella speranza di salvarsi ancora, e di momenti di apparente leggerezza e superficialità, mentre dentro si moriva, nel pieno silenzio.
E in questi giorni mi vado domandando quali fossero i miei errori, se quelli di una persona, perdonabili con un bacio sulla fronte o una carezza sul viso, o quelli di un figlio, che rimangono come nodi in gola, come massi nello stomaco, mentre un genitore cerca di sorridere per non ferire quel piccolo cuore, figlio del proprio…
E non ho mai trovato una risposta… mi sono sempre raccontato che io ero rimasto quel bimbo, sempre felice di vederti ... Quel bimbo che all’età di tre anni si aggrappava ai tuoi pantaloni per rimanere in piedi e che crescendo avrebbe avuto bisogno di un cuore da capire…
Ho cercato con gli anni di spiegarti le mie ragioni, ho tastato mille terreni, ho udito mille voci, ho pregato nelle ore più calde del giorno, per avvicinarmi un po’ di più a te e capire… capire dove sei sparito, dove sta quel papà che io continuo a vedere ogni notte, nei miei sogni e a cercare ,,, Come facevo quando eri in vita mentre tu non facevi altro che annientarti ... Dove è stata la scintilla, se è stata anche colpa mia…
Avrei voluto spiegarti che cadere è un diritto e che anche un uomo può essere fragile, avrei voluto farmi sentire vicino per ricordarti quei giorni di sofferenza quanto quelli di gioia, passati insieme, in tutte le stagioni dell’anno, tra il caldo lieve e soffocante, tra il freddo di Natale e quello del gelo…
E avrei voluto che tu sapessi che ti ho sempre perdonato, anche quando per un breve tempo ho creduto di non essere in grado di voltare pagina… e se accantono i miei “vorrei” non resta che il bene che non cambierà mai…
Forse non lo sai, ma pure questo è amore….